venerdì 11 gennaio 2013

Certificati di credito fiscale (CCF) per combattere la crisi


Ho il piacere e l'onore di pubblicare i momenti salienti di un'intervista che a breve vedrà la luce. L'intervistato è Marco Cattaneo, il quale si occupa di investimenti in PMI imprenditoriali (private equity). Quindi una persona che sul campo ha visto il delinearsi e l'evolversi della crisi economica che ancora adesso ci attanaglia.

D. Allora Marco, come definisci questo tuo progetto CCF, Certificati di Credito Fiscale ?

R. Uno schema di riforma del sistema monetario europeo, che agisce sulla tassazione del lavoro e utilizza un nuovo strumento monetario.



D. OK questa è la definizione… tu condividi l’opinione che l’euro ha causato la crisi.

R. Sì, e non l’eccesso di debito pubblico. Il rapporto debito pubblico / PIL italiano nel 2011 era intorno al 120%, come nel 1995. Nel frattempo USA, Francia, Germania, Inghilterra dal 50-70% sono saliti all’80-100%. Il Giappone dal 90% al 240%. In realtà abbiamo accorciato le distanze. Se il debito / PIL 1995 non era un gran guaio, perché lo è diventato nel 2011 ?



D. Ma nell’estate 2011 i tassi si sono impennati…

R. Il famoso spread. Da qui il sillogismo: se il debito è costoso, significa che è troppo alto. La priorità quindi è ridurlo.



D. E invece ?

R. Invece il fenomeno è un altro. Dall’introduzione dell’euro nel 1999, i costi di produzione e l’inflazione dei paesi nordeuropei sono stati più bassi di quelli del sud. Il delta medio non è stato enorme, poco più di un punto. Ma il cumulo ha prodotto una differenza del 20% circa.



D. Non è un merito dei tedeschi e dei loro vicini ?

R. E’ il frutto di una maggior disciplina, possiamo chiamarla organizzazione, efficienza, moderazione salariale, alcuni dicono compressione di diritti della forza lavoro. Non è una novità comunque, il Nord Europa ha sempre avuto un’inflazione più bassa rispetto al Sud. In passato infatti le monete del Nord si rivalutavano periodicamente.



D. Con l’euro invece…

R. Con l’euro si sono prodotti sbilanci commerciali e quindi accumuli di crediti finanziari del Nord verso il Sud. A un certo punto nei creditori è insorto il dubbio che il Sud finisse per diventare insolvente.



D. Ma è un problema di eccesso di consumi al Sud ?

R. Sì, ma non è una storia di formiche e di cicale. Se il Sud diventa meno competitivo produrre lì conviene di meno. Se il Nord accumula eccedenze le deve impiegare, e dove ? finanziando consumi al Sud. Se mi riesce difficile produrre ma mi finanziano per consumare, produco meno a parità di consumi – non perché sono uno scialacquatore ma perché incentivi e disincentivi portano a quello.



D. A un certo punto i creditori cominciano a temere che i soldi non torneranno indietro…

R. O ne torneranno meno, perché ci saranno dei default, o il Sud dovrà abbandonare l’euro e convertire i debiti in moneta svalutata. E il timore riduce le quotazioni del debito del Sud. Un BTP o un Bonos spagnolo per esempio a fronte di un valore di rimborso di 100, cala a 80.



D. E quando devo emettere nuovi titoli…

R. …li colloco a 80 e il costo effettivo del debito sale.



D. Sono andati in crisi i paesi dove i costi erano cresciuti, non necessariamente quelli con il rapporto debito pubblico / PIL più alto.

R. Infatti in Spagna e in Irlanda il debito pubblico era molto basso.



D. Le azioni promosse dall’Unione Europea e dal Governo Monti non sono state un successo.

R. Si è agito come se i problemi maggiori fossero il finanziamento del debito pubblico e l’eccesso di spesa: tagli e tasse a fronte della promessa di intervenire per calmierare il costo del debito, con i vari LTRO, ESM, OMT.



D. Lo spread è sceso…

R. Prima quando con l’LTRO la BCE ha fornito alle banche, italiane e spagnole soprattutto, soldi per comprare grosse quote di debito pubblico. Esaurito l’effetto, nell’estate 2012 si era tornati ai livelli “ante-Monti”. Draghi ha allora annunciato l’OMT, un programma che mette a disposizione risorse illimitate per calmierare il costo del debito pubblico, a fronte di impegni da meglio precisare che consisteranno comunque in ulteriori tagli e tasse.



D. Tutte queste politiche di austerità comprimono consumi, domanda e produzione.

R. Il PIL è caduto del 2,5%, nel 2013 calerà ancora e non c’è inversione di tendenza in vista.



D. L’euro è all’origine del problema. Tu però proponi una cosa diversa dall’uscita dall’euro.

R. L’euro è all’origine del problema perché manca di flessibilità. Paesi diversi hanno dinamiche di prezzi e costi diversi. Le valute nazionali e i cambi flessibili erano l’ammortizzatore che compensava gli squilibri, il riduttore – direbbe un ingegnere meccanico – che trasmetteva il movimento senza sfridi tra ingranaggi che ruotano a velocità diverse.



D. Si dice: con le valute nazionali i paesi in difficoltà svalutano il cambio, con la moneta unica devono svalutare i salari.

R. E svalutare i salari è una strada lunga, dolorosa, iniqua, antisociale. E destinata a fallire, perché crea un circolo vizioso: tagli, tasse, meno consumi e produzione. Il gettito dovuto alle maggiori tasse viene eroso dal calo di base imponibile, il credito si blocca, le imprese non hanno risorse per investire e diventare più efficienti. Anzi spesso delocalizzano o chiudono.



D. Fin qui, parli come chi non vede alternativa, per i paesi in difficoltà, all’uscita dall’euro.

R. Per lungo tempo ho pensato che fosse una via obbligata. Ma in effetti, oltre a svalutare la moneta o svalutare i salari, una terza possibilità per riequilibrare i costi tra Nord e Sud c’è: abbassare la fiscalità sul lavoro.



D. Il cuneo.

R. Esatto. Proposte ne stanno circolando, ma gli importi di cui si parla fanno sinceramente ridere. Centinaia di milioni, uno o due miliardi. Numeri irrilevanti rispetto al problema.



D. Quali sono gli ordini di grandezza necessari ?

R. In Italia i costi di lavoro lordi annui sono quasi 1.000 miliardi di euro. Al netto di tasse e contributi, i lavoratori ne percepiscono circa 500. Bene, immagina un intervento che abbatte del 10% il costo lordo per l’azienda – 100 miliardi - e aumenta del 10% il reddito netto per il dipendente – 50. Sono 150 in tutto.



D. Ma come finanzi questi 150 miliardi ?

R. Qui entra in gioco lo strumento tecnico, i Certificati di Credito Fiscale - CCF. Aziende e dipendenti continuano a versare gli stessi euro di prima per tasse e contributi. Ma ricevono nello stesso tempo questi CCF.



D. Per il 10% degli importi, dicevi…

R. Immagina che il tuo stipendio netto sia 30.000 euro all’anno, mentre al lordo di tasse e contributi al tuo datore di lavoro ne costi 60.000. Tu dipendente continui a percepire i 30.000, e in aggiunta lo Stato ti assegna un Certificato per 3.000 d’importo. L’azienda continua a pagare in tutto 60.000, ma lo Stato italiano gli assegna un Certificato per 6.000.



D. Va bene, e con questi Certificati che cosa facciamo ?

R. I Certificati sono utilizzabili per qualsiasi pagamento dovuto allo Stato, a partire da due anni dopo la loro emissione. Ad esempio, nel 2013 ti arrivano Certificati per 3.000 euro. A partire dal 2015, potrai usarli per pagare tasse, imposte, ticket sanitari… perfino multe.



D. In un certo senso è un forte sgravio fiscale sul lavoro, ma con effetti differiti.

R. Esatto. Però lo sgravio assume le vesti di un titolo, che può essere negoziato. Se non ho bisogno dei soldi subito, mi tengo i Certificati. Se no li vendo: poiché hanno un valore certo, realizzabile a due anni, sarà possibile comprarli e venderli alle condizioni di un titolo di Stato, con uno sconto basato sugli interessi di mercato.



D. Hai detto che i Certificati sono uno strumento monetario, che cosa intendi ?

R. Se lo Stato emette titoli che si impegna ad accettare per qualsiasi pagamento, si tratta a tutti gli effetti di moneta. L’unica differenza rispetto al contante tradizionale è che l’utilizzo è spostato nel tempo, di due anni come dicevo.



D. E perché questo differimento temporale ?

R. Perché nel momento in cui vengono utilizzati, i Certificati riducono gli incassi statali. Questo non è un problema se nel frattempo il livello dell’attività economica, il PIL, è cresciuto, e quindi ci sono maggiori introiti che compensano l’utilizzo dei Certificati.



D. Sei convinto che l’introduzione dei Certificati di Credito Fiscale produrrà una forte ripresa.

R. Certo, in quanto ci sarà una forte riduzione dei costi aziendali, quindi maggiore competitività, e insieme molto più potere d’acquisto per i singoli. Questo produce in tempi molto rapidi una crescita di domanda sia interna che estera.



D. Come fai a esserne così certo ?

R. Guarda cos’è successo da novembre 2011 a oggi. Monti ha aumentato le tasse e immediatamente c’è stata una caduta pesante di domanda, consumi e produzione. Qui si agisce esattamente nel senso inverso.



D. In pratica, stai finanziando un abbassamento delle imposte emettendo qualcosa di equivalente alla moneta.

R. Proprio così. Si tratta però di una “simil-moneta” utilizzabile nei confronti dello Stato italiano, non in tutta l’area euro. La Germania e gli altri paesi del Nord non hanno una situazione di domanda depressa, quindi non servono azioni di stimolo lì.



D. Però fammi capire… lo Stato italiano si impegna ad accettare questi Certificati in futuro… non è una forma di debito ? l’Unione Europea non ce lo contesta ?

R. No, perché l’Italia non si impegna a rimborsare i Certificati in cash, ma solo ad accettarli in pagamento: la differenza tra debito e moneta è proprio questa. D’altra parte il tema chiave, per i partner europei e i mercati, è la capacità di soddisfare il debito da pagare cash. La ripresa dell’economia migliora fortemente questa capacità.



D. L’Unione Europea oggi viene vista come un cerbero, un controllore severo…

R. Non mi farei paranoie. Le pressioni che ci sono state fatte, chiamiamole imposizioni se vogliamo, sono andate di pari passo con nostre richieste, o con necessità di garanzie, di interventi della BCE. Qui non stiamo chiedendo nulla a nessuno, stiamo introducendo uno strumento di gestione della nostra economia.



D. Dopo i primi due anni, l’utilizzo dei Certificati ridurrà le entrare fiscali. Effetto però compensato dai maggiori livelli di attività economica, dici tu. Se così non fosse saranno necessari degli interventi.

R. Questa comunque è una responsabilità dei singoli Stati. L’unione fiscale, la transfer union non esistono. Si dice: ogni Stato deve fare ordine in casa propria. Bene, ma allora deve anche dotarsi degli strumenti per portare l’economia a regime. Perché è socialmente, economicamente giusto, e anche perché la miglior tutela dei creditori è che i paesi finanziati tornino a sani livelli di attività e di sviluppo economico.



D. Hai una stima del recupero di PIL consentito dall’introduzione dei Certificati ?

R. Stiamo parlando di emissioni annue per circa 150 miliardi, poco meno del 10% del PIL italiano. Guarda caso, questo è anche il cosiddetto “output gap”, la differenza tra PIL effettivo e PIL potenziale, quello che avremmo in buone condizioni di attività economica – quelle del 2007 per esempio. E’ il recupero a cui si può puntare in un paio di anni.



D. Quando si è formato questo “output gap” ?

R. Nel 2009, quando il PIL è sceso del 5% per la “crisi Lehman”, e nel 2012,  -2,5% a causa delle politiche di austerità. In questi due anni si è perso il 7,5% quando, anche a essere pessimisti, l’economia italiana dovrebbe svilupparsi a tassi medi oltre l’1% annuo, grazie alla crescita demografica, all’innovazione tecnologica. Tra 2009 e 2012 si è perso il 10% rispetto al trend, senza recuperi significativi negli altri anni. Nel 2013 abbiamo forti probabilità di accumulare un altro 2% di ritardo.



D. L’intervento sul cuneo fiscale svolge funzioni simili a un riallineamento valutario…

R. Sì, perché in un sistema di cambi flessibili, i paesi più competitivi rivalutano. Questo riequilibra i costi di lavoro per unità di prodotto. Qui otteniamo un effetto analogo per un’altra via.



D. Sembra la macchina del moto perpetuo…

R. In realtà l’Italia può introdurre questa innovazione proprio perché ha già effettuato forti interventi su pensioni, IVA, benzina, IMU. Queste azioni hanno senso se dall’altro lato si sgrava il lavoro: utilizzo risorse prelevate da consumi e patrimoni per ridurre la fiscalità sul lavoro e renderlo più competitivo. Monti ha fatto la prima cosa ma non la seconda, ha somministrato la medicina amara ma non il ricostituente…



D. Gli mancava lo strumento, i Certificati di Credito Fiscale…

R.  Sì, e partiva dal presupposto che il problema di brevissimo termine dei conti pubblici fosse di gran lunga il più importante. Invece non c’è soluzione stabile se non si risolve il tema competitività.



D. Bene… a questo punto una domanda: perché preferisci questa soluzione rispetto all’uscita dall’euro, pura e semplice ?

R. Guarda, mi è perfettamente chiaro che l’euro è nato con difetti strutturali, e infatti tanti prestigiosi economisti hanno previsto con anni di anticipo quello che sarebbe accaduto. Vorrei svegliarmi domattina scoprendo che è stato un brutto sogno, che l’unione monetaria non si è mai fatta… Però c’è e il punto diventa: qual è la via più facile per ridare flessibilità al sistema e renderlo efficiente ? Permettimi una precisazione.



D. Prego.

R. Non ho dubbi che l’uscita dall’euro sia attuabile: gli impatti negativi di cui si continua a vociferare – crollo dell’economia, megainflazione – sono pure fantasie. Esistono però gruppi di interesse molto forti che remano contro. Puoi dire che “non è giusto”, ma la loro capacità di influenza, di blocco, è forte. Il rischio è che si prosegua con la logica dei “cerotti”, del fare il minimo per tamponare gli effetti negativi e tirare avanti, senza risolvere le cause. E’ quanto temono ad esempio George Soros e Paul Krugman: si va avanti anni con un’economia italiana, anzi del Sud Europa, che non crolla, non c’è default sul debito pubblico, ma rimane permanentemente depressa, con alti livelli di disoccupazione, di malessere sociale.



D. E questi gruppi d’interesse…

R. In sintesi sono tre, vediamoli uno alla volta spiegando perché la soluzione Certificati di Credito Fiscale è molto più accettabile, per loro, rispetto alla rottura dell’euro.

Il primo sono gli organismi europei, la commissione, la BCE. Non dico che il progetto Certificati li entusiasmerà perché ricrea autonomie a livello nazionale. Loro spingono il disegno di centralizzazione, il “più Europa”… Però è enormemente meglio del break-up dell’euro – per esempio, per la BCE meglio un euro riformato che un euro che scompare !



D. Poi ci sono i creditori internazionali, immagino.

R. Naturalmente, e per loro tutto quello che riduce il rischio di default di singoli stati, o di fuoriuscite che implicano il rimborso in una moneta svalutata, evidentemente è positivo.



D. Fammi indovinare, il terzo gruppo sono gli industriali tedeschi, del Nord Europa. Loro non vedranno di buon occhio il Sud che torna competitivo.

R. Ma ancora una volta il confronto è tra due scenari, la riforma “morbida” del sistema e l’euro che si spezza. Nel secondo caso si trovano con una moneta – Euro Nord, Euro Residuo, Nuovo Marco – rivalutata e perdono competitività verso il resto del mondo.  Con la riforma “morbida”, no.



D. Perdono però competitività nei confronti del Sud.

R. Ma i surplus commerciali Nord-Sud già si stanno riducendo, quindi anche lo status quo non è più così interessante.



D. La riduzione degli squilibri non indica che i problemi si stanno risolvendo ?

R. No, perché è dovuta al Sud che è caduto in depressione economica e ha contratto pesantemente l’import. Gli scambi devono equilibrarsi, ma a fronte di un buon livello di attività economica, non perché il PIL dei paesi deficitari crolla. Il progetto Certificati rende le aziende del Sud più competitive e nello stesso tempo aumenta il potere d’acquisto interno. L’Italia esporterà di più ma comprerà anche di più, incluso dalla Germania. Ci sarà un riequilibrio commerciale, ma a livelli di attività ben più alti.



D. Hai detto aziende del Sud, Sud Europa immagino, non solo Italia.

R. Sì: i Certificati possono essere introdotti in tutti i paesi in deficit di competitività rispetto al “centro”, alla Germania in primis. Ogni nazione può adattare l’intervento alla sua situazione e ai suoi delta di costi di lavoro per unità di prodotto. I paesi chiave oltre all’Italia sono la Spagna e anche la Francia, che è in una situazione intermedia tra Italia e Germania e dovrebbe quindi attivare lo schema Certificati, ma in proporzioni meno accentuate.



D. Forse la Grecia ha una situazione troppo pesante per essere recuperabile…

R. In Grecia servirà, credo, un ulteriore intervento sul debito. Comunque se si ripristina una maggiore competitività sarà possibile renderla almeno parzialmente solvibile. Oggi si continua a negare l’evidenza. Ogni x mesi ci si accorda su tagli di interessi, allungamenti di scadenza eccetera con l’economia che va sempre peggio, senza alcun segnale di svolta.



D. Alla fine avremo un sistema sostenibile ed efficiente.

R. Ne avremo creato le condizioni, perché si sarà introdotta una leva di intervento, di flessibilità che permette di armonizzare le varie situazioni. Avremo fatto uscire l’Italia e il Sud Europa dalla depressione. E rimosso il maggior fattore di instabilità economica che esiste oggi nel mondo, non solo in Europa.

domenica 6 gennaio 2013

Per tutti quelli che "se usciamo dall'euro la cina ci schiaccerà!"

La Cina, o anche China, è divenuta spauracchio ed arma segreta del luogocomunista piddino. Ogni qual volta si incomincia un dibattito sulla possibilità o meno di uscire dall'euro, dopo aver enunciato inflazione alle stelle, materie prime costosissime, cavallette, cavalieri dell'apocalisse, ecco arrivare l'asso nella manica. L'arma segreta che annichilirà tutto e tutti. LA CINA (caps lock attivato di proposito). La tesi di fondo del piddino è che nel momento in cui uscissimo dall'Unione Europea, e quindi dall'euro, non potremmo più competere con i cinesi. Solamente rimanendo nel grembo europeo potremmo affrontare le dure sfide future lanciate dai BRIC(S).

Ma scusate un attimo. Una domanda, semplice. Chi è la Cina? Non è quella nazione in cui la politica economica del paese viene gestita direttamente dall'apparato statale? Non è quella nazione che, seppur non ricchissima di materie prime, è considerata tra le economie più potenti del globo? Non è quella nazione in cui si ritiene che esista la castacorruzzzzionecomunista? Non è per caso, ma potrei sbagliarmi, quella nazione in cui il renminbi viene tenuto appositamente deprezzato per favorire le esportazioni? Quindi ora mi chiedo, serenamente e pacatamente (come direbbe Marzullo): ma se uscissimo dall'euro non faremmo esattamente quello che la Cina sta facendo da anni? E se la Cina lo fa e gli riesce pure bene, noi di cosa dovremmo aver paura? Prima di adottare l'euro come moneta unica non mi pare che fossimo una nazione da terzo mondo. Eravamo, nonostante tutto, parte del G7, ossia delle nazioni maggiormente industrializzate. Non eravamo padroni del nostro destino, con la tanto odiata liretta, quando Banca d'Italia finanziava, comprando titoli, direttamente dal Tesoro? Nei momenti di difficoltà semplicemente andavamo a svalutare la nostra moneta. Semplicemente per riacquistare competitività. Quando avevamo la lira non mi pare che non fossimo competitivi con i giganti di allora: USA, Giappone, la stessa Germania. Purtroppo oggi la svalutazione è immorale. Scusate. La svalutazione del cambio è immorale. Mentre invece non è considerato immorale la svalutazione dei salari. Conviene ricordarlo sempre. Se adotti un cambio fisso e necessiti di riacquistare competitività sul mercato, non puoi svalutare la tua moneta. L'unica cosa che puoi svalutare sono i salari.
Se svalutare il cambio è immorale, allora rivalutare sarà cool. Perchè allora tutti evitano di farlo? Perchè la Cina, e la stessa Germania, hanno sempre evitato rivalutazioni del cambio?

BTW risulta pressochè impossibile entrare nei gangli dei ragionamenti piddini. Forse perchè diventa incomprensibile il motto "la strada sbagliata ci porterà nel posto giusto". Non potremmo semplicemente prendere la strada giusta?